Sambin Marco - Parole come fatti. Il formarsi dell'esperienza clinica

Scorte disponibili
Tempi di consegna: 2-3 giorni lavorativi

PREZZO COPERTINA 21,00 €
21,00
PREZZO DI VENDITA
Prezzo comprensivo di IVA, +
(eventuali spese di) spedizione


 

L'opera:

Il titolo di questo saggio sta ad indicare che mi interesso dell’oggetto clinico.

Per oggetto clinico intendo quella porzione di esperienza che viene trattata nei luoghi deputati a svolgere attività cliniche, e non solo quelli.

Non intendo quindi “oggetto clinico” nel senso in cui suonerebbe una frase del genere “l’oggetto del mio interesse è la clinica”. Quando uso la parola oggetto mi riferisco a qualcosa di stabile, solido, oggettivamente trattabile. Analizzando quindi il costituirsi di quella porzione di esperienza che vengono etichettate come cliniche intendo dire che tratterò oggetti con forte grado di consistenza.

In altre parole l’oggetto clinico è sì anche l’oggetto o il tema di cui si interessa chi fa attività clinica (e non solo lui, come sarà possibile inferire), ma è innanzitutto un pezzo di esperienza e come tale analizzabile con gli strumenti di analisi, indagine, spiegazione che ci vengono da tutte le nostre interrogazioni (coestese almeno alla nostra storia) nei confronti dell’esperienza, cioè del reale. Quanto segue ha proprio lo scopo di rendere il più comprensibile possibile l’equazione che intercorre tra oggetto clinico e esperienza clinica, il che, almeno per scopi dimostrativi e probabilmente non solo per quelli, può essere ricondotto a quell’altra equazione che vede oggetto ed esperienza come corrispondenti.

 

Nel primo capitolo viene introdotto un punto di visto del reale, una visione del mondo, in cui si sottolinea in modo particolare la stretta interdipendenza tra oggetto e soggetto. Tanto stretta da rivelare come impossibile non solo una reciproca interdipendenza, ma anche un’esistenza che non preveda l’altro polo.

Descritto in termini filosofici, questo punto di vista può essere classificato come monista, un monismo fenomenologico talmente morbido da non pretendere di stravolgere il processo del reale così come viene osservato. In termini di contenuto viene trattato il processo del formarsi dell’esperienza. I passi attraverso cui si attua sono i seguenti.

L’oggetto è una porzione particolarmente stabile e solida dell’esperienza. Di solito come oggetto vengono intese le cose. Si possono classificare gli oggetti in base al grado di consistenza fenomenico con cui compaiono.

Distribuiti lungo tutti i valori di questa scala si incontrano sia oggetti materiali, le cose, sia oggetti non materiali. Esistono allora porzioni di esperienza originate da non cose che hanno consistenza fenomenico pari a porzioni di esperienza originate da cose. Le porzioni di esperienza solide, comunque siano originate, vengono definite oggetti.

L’oggetto allora non è dipendente da condizioni materiali, ma è il risultato di una mediazione tra alcune condizioni esterne e alcune interne al soggetto. L’oggetto non ha esistenza proprio ma è ineliminabilmente funzione di un apparato percettivo: il soggetto. Per converso il soggetto è funzione anch’esso degli oggetti.

Ne consegue che quegli oggetti che di solito definiamo come materiali posseggono molti aspetti che non sono materia e, ancora per converso, quegli oggetti che diciamo non materiali sono imprescindibilmente legati ad aspetti materiali.

Allo stesso modo il soggetto consiste in una descrizione di un pezzo del processo di esperienza, è uno dei suoi poli. Ne segue che senza porzioni di esperienza, cioè senza oggetti, vengono meno le condizioni che permettono anche il formarsi del soggetto.

Se ne conclude che l’esperienza è un processo dinamico da cui per solida convenzione si distaccano porzioni che via via vengono chiamate aggetto, nelle sue molteplici forme, e soggetto, nei suoi altrettanto vari aspetti,

 

Il secondo capitolo introduce degli strumenti concettuali con cui effettuare un’analisi dell’esperienza. Se il prima capitolo è teorico e monista, questo secondo è metodologico e dualista per quanto sia accettabile un dualismo metodologico date le premesse introdotte nel primo.

Gli strumenti concettuali di analisi sono dei criteri con cui individuare la struttura secondo la quale si forma l’esperienza. Ne sono indicati sei: complessità, semplificazione, intersoggettività, sinergia, invarianza, rinnovabilità; e vengono applicati a tre zone del reale di solito distinti: il mondo quotidiano, quello di laboratorio e quello clinico.

La scelta degli strumenti concettuali è stata attuata in modo da essere indicativa al proposito delle modalità con cui si va formando l’esperienza; la scelta degli ambiti cui applicarli deriva dallo scopo di questo libro: mostrare che le differenze non sono così elevate, che le modalità del formarsi dell’esperienza sono comuni, che i metodi di indagine coincidono sul piano teorico e si possono ampiamente sovrapporre anche di fatto.

 

Nel terzo capitolo con gli strumenti concettuali ora individuati viene preso in esame un compresso oggetto clinico costituito da una tranche di terapia. Si ricava in concreto, risultato previsto teoricamente: gli strumenti concettuali forniscono uno strumento valido a descrivere il formarsi di un pezzo d’esperienza clinica.

Osservare un oggetto clinico utilizzando complessità, semplificazione, intersoggettività, sinergia, invarianza e rinnovabilità permette di evidenziare come si va costruendo ciò che interviene tra il terapeuta e il suo paziente; fa capire come si viene costruenda quell’insieme di porzioni del reale, quella organizzazione gerarchica di oggetti, che chiamiamo terapia.

 

Il quarto capitolo procede in maniera ancora più dettagliata sulla via aperta dal terzo. A partire da un diverso oggetto clinico, un altro brano di terapia, viene formulata un’analisi che non solo conferma l’efficacia dell’uso degli strumenti concettuali introdotti, ma per di più mette in evidenza continui parallelismi tra modalità specificamente adottate in campo sperimentale e loro uso in campo clinico. Modi, strumenti, problemi del laboratorio sono perfettamente funzionali alla descrizione dell’esperienza clinica, danno e ricevono luce nell’essere applicati in ambiti diversi da quelli in cui sono nati e a cui la consuetudine li ha legati.

Questa sostanziare identità di strutture rende meno solidi quei confini che siamo soliti porre o, almeno, mostro che esiste un tipo di analisi trasversale che li accomuna efficacemente senza la pretesa di togliere specificità a ciascun modo di indagare il reale.

 

Una ulteriore osservazione. L’aver costruito un percorso che prevede una parte teorica tendenzialmente monista, una parte metodologico solo pragmaticamente dualista, la applicazione di questi principi a delle esperienze cliniche e il loro confronto con situazioni di laboratorio ha un intendimento finale: evitare l’introduzione di teorie costruite a priori in maniera sufficientemente forte (dogmatiche, se la parola non fosse, almeno per me, offensiva) da pregiudicare la realtà di ciò che si osserva. Detto in maniera molto più diretta: io esisto prima che tu ci faccia sopra una teoria e se proprio sentiamo la necessità di farla o lo reputiamo un passo necessario e utile per indagare il nostro reale, sarà una teoria che non potrà dimenticare il luogo in cui è sorta: quella porzione di reale in cui tu, io e gli oggetti che popolano il nostro mando costituiamo solo delle cristallizzazioni complesse di un processo ancora più ampio. Questa consapevolezza dovrebbe evitare l’insorgere di prese di posizione che differenziano la dignità dei ruoli, che distinguono oltre il necessario l’oggetto e il soggetto, ciò che spiega e ciò che è spiegato oppure, il che è lo stesso, chi spiega e chi è spiegato; una posizione in cui l’approccio al reale è sostanzialmente pacifista perché non introduce a-priori basati su posizioni definite dal dogma o dal potere.

Alessandro Manzoni nei “Promessi sposi” modestamente (o era falsa modestia?) riteneva che la schiera dei suoi lettori non contasse più di cinque unità, io molto più modestamente mi accontenterei se almeno tre persone, si fa per dire, si rendessero convinte di quanto ho ora detto. È una modestia ancor più falsa?

 

m. s.

 

Padova-Milano: Ispra, 22.10.88 - 31.5.89

Cerca anche queste categorie: Home page, EDITORE